IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE Sezione 1ยช Penale In persona del Giudice dott. Stefano Sernia decidendo in ordine alla richiesta di liquidazione del proprio compenso quale difensore di fiducia di imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, avanzata dall'avv. M.C. in data 18 aprile 2014 in relazione alla difesa di: N. M., nato il a P. (S.) letti gli atti, ha emesso la seguente Ordinanza Risulta dagli atti che il legale istante sia stato difensore di fiducia dell'imputato indicato in epigrafe, chiamato a rispondere del reato di ricettazione e di detenzione per la vendita di cd illecitamente duplicati, in relazione ai quali egli e' stato condannato a pena tenue, col riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella di cui all'art. 648 cpv c.p., con sentenza emessa in data 13 dicembre 2013. L'imputato risulta essere stata ammesso al patrocinio a spese dello Stato, giusta decreto di questo Tribunale in data 30 agosto 2012; il difensore ha quindi diritto, ai sensi degli artt. 82 e 107, dpr 115/02, a che lo Stato provveda a liquidarne l'onorario. Terminata la fase del giudizio, il difensore chiede quindi che ne vengano liquidati i compensi, ponendoli a carico dello Stato come previsto dal DPR n. 115/02. L'opera professionale e' stata svolta, per quel che riguarda la fase la cui liquidazione e' di competenza di questa A.G., in due udienze, escludendosi quelle di mero rinvio, di cui l'ultima in data 30 agosto 2013, e pertanto ricade nell'ambito temporale di vigenza della legge n. 2/2012 e del d.m. n. 140/2012, di cui vanno pertanto applicati i criteri di liquidazione, giusta quanto ritenuto dalle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con sentenza 12 ottobre 2012 n. 17406 (e con altra di identico contenuto). Successivamente, e' stato altresi' pubblicato il d.m. 10 marzo 2014, il quale ridetermina, in senso particolarmente piu' favorevole, le tariffe da liquidarsi agli avvocati ad opera del giudice; l'art. 28 di detto decreto, come gia' l'art. 41 di quello previgente, prevede che esso si applichi a tutte le liquidazioni ancora da compiersi. Stando alla lettera dei suddetti regolamenti, pertanto, il giudicante chiamato a determinare l'onorario da liquidarsi al difensore dell'imputato ai sensi dell'art. 82, dpr n. 115/02, dovrebbe prescindere dal tariffario vigente all'epoca in cui venne prestata l'opera professionale del difensore, ed applicare il tariffario vigente all'epoca della liquidazione. Si pone quindi un problema di apparente contrasto tra il dettato del regolamento e la previsione di legge (in particolare, l'art. 11 delle preleggi), che prevedono che la legge (e quindi, a maggior ragione, le disposizioni regolamentari che non possono porsi in contrasto con la legge, giusta la previsione di cui agli artt. 3 e 4 delle preleggi) possa disporre solo per l'avvenire, laddove inoltre il suddetto regolamento si porrebbe in contrasto con l'art. 82, del DPR n. 115/02, che per la liquidazione rinvia alle tariffe vigenti all'epoca della prestazione professionale; e' noto come l'art. 11 delle preleggi sia una disposizione di legge ordinaria, derogabile pertanto da altra norma di legge, purche' nel rispetto dei principi costituzionali; ma deve quindi a tal proposito osservarsi che, invece, nessuna disposizione di legge preveda espressamente che il d.m. 10 marzo 2014 possa derogare al principio della irretroattivita' delle disposizioni normative. Deve invero considerarsi che le tabelle forensi hanno natura di norma sostanziale, e di certo non processuale, atteso che, pur se legate allo svolgimento di attivita' processuali, determinano il contenuto di un diritto sostanziale, e cioe' quello relativo al valore economico da riconoscersi alla prestazione professionale del legale per l'attivita' da lui svolta nel processo; da cio' discendono tre conseguenze: a) la retroattivita' della disposizione regolamentare non potrebbe essere giustificata in base al noto principio secondo il quale "tempus regit actum", atteso che questo vale per le norme processuali e procedimentali e non per quelle aventi natura sostanziale; b) l'art. 28, del decreto 10 marzo 2014 si porrebbe quindi in contrasto con l'art. 82, del D.P.R. n. 115/02, che determina il contenuto economico del diritto del legale alla corresponsione delle proprie competenze; la norma regolamentare sarebbe quindi suscettibile di disapplicazione ex artt. 4 e 5 R.D. n. 2248/1865, alleg. E, perche' contraria a norma di legge; c) la norma regolamentare dovrebbe poi (ed invero, prima di tutto) essere disapplicata, sempre ai sensi dell'art. 5, r.d. 2248/1865 alleg. E, in quanto contraria anche all'art. 3 Cost., atteso che l'applicazione della norma secondaria ai casi esauritisi prima dell'entrata in vigore del d.m. 10 marzo 2014 comporterebbe esiti di disparita' di trattamento tra professionisti, assolutamente ingiustificati, a seconda che la richiesta di liquidazione delle competenze professionali, da loro avanzata, sia stata decisa dal Giudicante (talora a prescindere dalla volonta' dell'istante, e per ragioni legate ai differenti carichi di lavoro o tempi di smaltimento dei diversi giudicanti) prima o dopo l'entrata in vigore predetto d.m. In tutti i casi in cui il Giudicante sia attualmente chiamato a liquidare il compenso al legale ai sensi del DPR n. 115/02 in relazione ad attivita' prestate prima della cessazione del valore legale delle precedenti tabelle professionali forensi, le stesse dovranno pertanto continuare a trovare applicazione. In tal senso, vale la pena sottolineare, sia pure tramite percorso argomentativo piuttosto stringato, risultano essersi poste le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con sentenza 12 ottobre 2012 n. 17406 (e con altra di identico contenuto), con la quale hanno statuito che "per ragioni di ordine sistematico e dovendosi dare al citato art. 41 del decreto ministeriale un'interpretazione il piu' possibile coerente con i principi generali cui e' ispirato l'ordinamento, la citata disposizione debba essere letta nel senso che i nuovi parametri siano da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorche' tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate"; laddove e' noto come, ai sensi dell'art. 83, comma 2, DPR n. 115/02, l'onorario del difensore di imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato e' liquidato dall'A.G. al termine di ogni fase o grado del processo, sicche' e' a tali momenti che occorre far riferimento per verificare se l'attivita' del difensore si sia o meno esaurita prima dell'entrata in vigore del nuovo tariffario di cui al citato regolamento. Nel caso in oggetto, l'attivita' defensionale posta in essere dall'istante, come si e' visto, e' cessata senz'altro prima dell'entrata in vigore del d.m. 10 marzo 2012 e si pone sotto il vigore del d.m. n. 140/2012. Passando quindi alla determinazione degli onorari, va ricordato come la stessa vada comunque eseguita in osservanza anche dei criteri stabiliti dall'art. 82, comma 1, DPR n. 115/02, e quindi con divieto di superare i valori medi delle tariffe professionali vigenti, tenendo altresi' conto della natura dell'impegno professionale, in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione della persona difesa; ne consegue che il massimo liquidabile e' pari alla media tra minimi e massimi tariffari, e puo' essere riconosciuto, trattandosi appunto di un massimo, solo a fronte di attivita' di eccezionale pregio o comunque svolta in procedimenti di particolare complessita'; gli artt. 9 e 12, del d.m. 140/2012 peraltro reiterano tali principi, prevedendo la riduzione al 50% dei compensi professionali in caso di prestazioni operate in favore di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Posto che il regolamento, in base ai principi generali, non puo' dettare disposizioni contrarie a quelle stabilite dalla legge (art. 4 delle c.d. preleggi), non puo' ritenersi che gli artt. 9 e 12, del d.m. citato possa aver introdotto la possibilita' di una riduzione ulteriore dei massimi liquidabili, rispetto a quella derivante dalla media tra minimi e massimi, perche' in tal caso si porrebbe in contrasto con l'art. 82, del dpr n. 115/02; le due norme devono pertanto operare sinergicamente secondo ambiti differenti che non pongano il regolamento in contrasto con la legge, e la piu' corretta interpretazione sembra pertanto dover essere quella che assegna alla norma di cui all'art. 82 citato la funzione di un limite massimo, di talche': a) i compensi, per come stabiliti dal d.m. 140/2012, possano essere ridotti della meta' rispetto a quelli liquidabili, secondo i criteri generali posti dallo stesso d.m., in ragione dell'impegno profuso, della qualita' della prestazione e della sua utilita' per la parte assistita, potendo invece il massimo, pari alla media tra minimi e massimi edittali - e cioe' i valori medi indicati dal d.m. 140/2012 - essere liquidati solo a fronte di prestazioni di particolare pregio; b) detti compensi non possano comunque essere mai superiori, stando alla lettera del citato art. 82, DPR n. 115/02, alla media tra i minimi ed i massimi liquidabili in forza dei criteri generali stabiliti dalle tabelle allegate al d.m. citato. Orbene, poiche' i valori tabellari introdotti dal d.m. citato in forza della previsione di cui alla legge n. 27/2012 sono sviluppati in relazione a singole predeterminate fasi tipiche del processo, sul paradigma del giudizio monocratico (aumentabili del 30% nei giudizi collegiali), secondo il seguente schema: Fase di studio: valore medio euro 300; aumento fino a + 300%, diminuzione sino a -50%; Fase introduttiva: valore medio euro 600; aumento fino a + 300%, diminuzione sino a -50%; Fase istruttoria: valore medio euro 900;, aumento fino a + 300%, diminuzione sino a -70%; Fase decisoria: valore medio euro 900;, aumento fino a + 300%, diminuzione sino a -70%; Fase esecutiva: euro 20,00 per ogni ora o frazione, con aumento o diminuzione del 50%. E poiche' il processo si e' concluso con esito parzialmente favorevole all'imputato, grazie al riconoscimento di attenuanti idonee ad abbattere notevolmente la pena, in esito a due udienze di effettiva trattazione, ma peraltro di impegno non gravoso, essendo stati escussi solo i verbalizzanti rispetto a vicenda che, dalla lettura della sentenza, si comprende essere stata di facile ricostruzione, si stima quindi equo e congruo liquidare gli onorari su valori leggermente inferiori a quelli medi di fase, con ulteriore riduzione del 50% trattandosi di imputato ammesso a patrocinio a spese dello Stato; si perviene quindi ai seguenti onorari: Fase di studio: valore medio euro 300; diminuzione sino a 50% = euro 270; riduz. ex art. 12 = euro 135; Fase introduttiva: valore medio euro 600; diminuz. sino a 50% = euro 500; riduz. ex art. 12 = euro 250; Fase istruttoria: valore medio euro 900; riduz. sino al 70% = euro 750,00; riduz. ex art. 12 = euro 375; Fase decisoria: valore medio euro 900; diminuz. sino a -70% = euro 600; riduz. ex art. 12 = euro 300; Fase esecutiva: non spetta, liquidandosi quindi complessivamente euro 1.060,00; non risultano documentate spese e le stesse, in mancanza di riproduzione della previsione del diritto alla liquidazione forfettaria del 12,5%, no spettano. L'art. 106 bis, DPR n. 115/02, introdotto dall'art. 1, comma 606, legge n. 147/2013 - Applicazione retroattiva ai sensi dell'art. 1, comma 607, dpr n. 115/02. Va quindi rilevato che la somma liquidata a titolo di onorario va ulteriormente ridotta di 1/3 e portata quindi ad euro 706,66: sulla disciplina sopra descritta opera infatti, con effetti sensibilmente riduttivi degli importi da liquidarsi, l'art. 106 bis, del DPR n. 115/02, introdotto dal comma 606, lett. b) dell'art. 1, della legge n. 147/2013, c.d. "legge stabilita'" per il 2014, che prevede la riduzione di 1/3 degli onorari spettanti ai difensori, ai custodi, ai consulenti nominati dal Giudice e dalle parti ed agli altri ausiliari del giudice: norma che, ai sensi dell'art. 1, comma 607, della legge n. 147/2013, va applicata anche retroattivamente, a tutte le liquidazioni non ancora operate dal Giudice alla data di entrata in vigore della legge. Nonostante l'assistenza difensiva sia stata quindi portata a termine dall'istante ben prima dell'entrata in vigore della legge n. 147/2013, anche all'onorario da liquidarsi per tale opera e' applicabile, ai sensi del citato comma 607 dell'art. 1 della suddetta legge n. 147/2013, la decurtazione di 1/3. Ed invero, la norma appare pertanto avere portata generale ogni qualvolta debba procedersi a liquidazione dell'onorario del difensore a carico dello Stato in applicazione delle norme sul "gratuito" patrocinio: e quindi sia che vi sia stata ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sia allorche' dette norme siano richiamate nelle ipotesi di cui all'art. 116, dpr 115/02. Ne' la riduzione di 1/3, introdotta dalla norma in oggetto, appare agevolmente giustificabile con la natura "latu sensu" pubblicistica dell'incarico, atteso che la decurtazione introdotta dall'art. 106 bis, dpr n. 115/02 va ad operare su di un sistema tariffario che, ai sensi dell'art. 82, comma 1 dpr medesimo, e dell'art. 9 del d.m. 140/2012, gia' e' impostato in maniera tale da mitigare l'onere dei tariffari professionali contemperandoli con la natura pubblicistica dell'incarico, prevedendosi la liquidabilita', al massimo, di un onorario pari alla media tra i minimi ed i massimi previsti dalle tabelle professionali. A parere del Tribunale, appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale - per contrasto con gli artt. 35, 36 e 3 della Costituzione - dell'attuale disciplina, che - andando ad operare su di un sistema tariffario gia' impostato su di una compressione degli onorari liquidabili, ulteriormente li riduce senza giustificazione apparente, specie per quel che riguarda gli onorari da liquidarsi in forza dei tariffari antecedenti quello di cui al d.m. 10 marzo 2014 (il quale ultimo prevede importi di notevole entita' e tali da rendere non irragionevole la decurtazione quando l'onorario debba essere a carico dello Stato). Inoltre, appare al giudicante altresi' fondata la questione di illegittimita' costituzionale, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, dell'art. 1, comma 607, della legge n. 147/2013, nella parte in cui prevede l'applicabilita' della riduzione, prevista dal novello art. 106 bis dpr 115/02, anche alla liquidazione di prestazioni professionali gia' operate nel vigore della precedente normativa, ma ancora non liquidate dal giudice. Va in primo luogo ritenuta la natura di decisione, a carattere giurisdizionale, del provvedimento di liquidazione del compenso del difensore, analogamente a quanto gia' ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 88 del 1970, atteso che il provvedimento di liquidazione e' previsto in apeo al giudice da una norma di natura processuale, come dimostrato dalla circostanza che l'antecedente cronologico dell'art. 116 dpr 115/02 era - con testo pressocche' identico - nell'art. 32, comma 2 disp. att. cpp; ne consegue che, nonostante la apparente natura amministrativa dell'atto di liquidazione, appartenendo pero' questo pur sempre al giudice nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali, tanto da essere stato gia' previsto dall'art. 32, comma 2 disp. att. cpp, esso ha legalmente natura giurisdizionale, e l'autorita' che e' chiamato ad emetterlo e' quindi "Giudice" nel senso previsto dall'art. 1, della legge Cost. n. 1 del 1948, sicche' la questione di costituzionalita' delle leggi che disciplinano l'atto di liquidazione e' conseguentemente sollevabile d'ufficio dal Giudice ai sensi del citato. art. 1 della l. Cost. n. 1 del 1948. La previsione di compensi particolarmente modesti, assolutamente e notevolmente inferiori a quelli previsti per la medesima prestazione resa in regime di mercato, appare porsi in primo luogo in contrasto con i principi costituzionali in tema di tutela del lavoro e di equa ed adeguata retribuzione delle prestazioni lavorative, senza che appaia legittimo trarre nella natura "latu sensu" pubblicistica dell'ufficio di difensore di imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, giustificazioni ad un trattamento economico si' marcatamente penalizzante e che realizza una disparita' di trattamento, rispetto a chi presti le medesime attivita' a condizioni di mercato, troppo accentuata per essere giustificata dalla natura dell'incarico e dall'adempimento di doveri di solidarieta' sociale. Deve poi fortemente dubitarsi della legittimita' costituzionale di una normativa che vada a rideterminare in peius e con effetti retroattivi l'entita' economica di quanto di spettanza al difensore a retribuzione della propria opera, come si osserva quindi nel punto che immediatamente segue. Contrasto dell'art. 1, comma 607, legge n. 147/14 con l'art. 3 Cost. Come si e' anticipato, la norma in oggetto opera con effetti retroattivi, essendo espressamente previsto che essa trovi applicazione a tutte le liquidazioni ancora da compiersi; la formulazione dell'art. 1, comma 607, della legge n. 147/2013 appare quindi in linea con le scelte - in quei casi forse di semplificazione ma non di economia di spesa - che sorreggono anche i criteri di applicabilita' dei DD.MM. 140/2012 e 10 marzo 2014; con la differenza che, mentre le norme dei due decreti sono suscettibili di disapplicazione e possono piu' agevolmente essere interpretate in modo da riportarle a rispetto dei principi di legge, non altrettanto e' possibile quanto alla citata norma di cui all'art. 1, comma 607, della legge n. 147/2013 che, avendo forza di legge, non puo' essere disapplicata. Essa si applica a tutte le liquidazioni ancora da compiersi; e la formula adottata dal legislatore, nella sua assolutezza che non consente diverse letture, non permette di distinguere tra prestazioni gia' eseguite o prestazioni ancora in fieri: e d'altra parte, la stessa funzione e ragion d'essere della norma, chiarissima nella sua formulazione, appare essere proprio quella di sollevare l'interprete dal compito di selezionare tra i vari casi e ricostruire una disciplina intertemporale, avendo il Legislatore optato per la via piu' rapida e foriera di maggior benefici economici per le casse dello Stato. Va quindi ribadito che detta norma si applica non solo per il futuro, ma anche per il passato, concorrendo a determinare l'entita' monetaria dell'onorario da liquidarsi anche ai difensori di ufficio o di imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato, che abbiano gia' prestato la propria opera ed esaurito l'ufficio loro affidato; e tale modifica, come si e' detto, opera in peius, introducendo la riduzione di 1/3 di quanto altrimenti sarebbe stato loro liquidato nel vigore della normativa esistente nel momento in cui e' stato loro affidato l'incarico di difensore di ufficio. Invero, va in primo luogo escluso che il complesso di norme (artt. 82 e 106 bis dpr 115/02; DD.MM. in tema di tariffe forensi) gia' richiamate e che concorrono a determinare l'entita' dell'onorario da liquidarsi al difensore, abbiano natura processuale e soggiacciano, pertanto al principio secondo cui "tempus regit actum"; invece, le norme surrichiamate, concorrendo a determinare non solo le modalita' procedimentali con cui si procede al pagamento dell'ausiliario, ma anche alla determinazione del quantum da pagarsi, hanno evidente natura sostanziale, in quanto determinano il contenuto stesso del diritto economico spettante al difensore e sono quindi norma di natura sostanziale. Cio' posto, ne emerge un delicato problema di compatibilita' con il principio di eguaglianza, in quanto ne deriva la sottoposizione a diverso trattamento economico dei difensori di' ufficio che abbiano svolto la medesima prestazione, a seconda che, anche senza nessuna loro colpa ma per semplice difficolta' di alcuni dei giudici ad esaurire rapidamente tutte le operazioni di liquidazione, le loro istanze siano gia' state evase, o meno, all'atto dell'entrata in vigore dell'art. 106 bis del D.P.R. 115/02. Una legge retroattiva, di per se', pone poi problemi di rispetto dell'art. 3 Cost. introducendo il rischio di ingiustificate disparita' di trattamento tra consociati, sia che siano parte di un rapporto di cui mutino la natura, o l'oggetto ed il contenuto concreto, per effetto della norma retroattiva, venendo cosi' alterato l'equilibrio del rapporto come concordato tra le parti (con lesione altresi' dell'art. 41 Cost. che, tutelando l'iniziativa economica privata, e' altresi' fondamento del principio dell'autonomia contrattuale, senza la quale non puo' esservi liberta' di iniziativa economica), sia che - non intervenendo su situazioni interamente esaurite (come nel caso in oggetto, in cui non sono interessati i provvedimenti di liquidazione gia' emessi) - disciplini diversamente il diritto di soggetti nella stessa situazione. La Corte costituzionale ha gia' affrontato il tema della legittimita' costituzionale delle leggi retroattive; pur, condivisibilmente, rilevando la natura non costituzionale dell'art. 11 delle preleggi (che appunto dispone che la legge disponga solo per l'avvenire), ha comunque evidenziato dei principi di ordine costituzionale che limitano i casi in cui il Legislatore possa emettere leggi con efficacia retroattiva. In particolare, codesto Giudice delle leggi ha statuito, con la sentenza n. 0092 del 2013, la "l'illegittimita' costituzionale dell'art. 38, commi 2, 4, 6 e 10, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui riconosce al custode giudiziario di autoveicoli sottoposti al fermo amministrativo, con effetto retroattivo, compensi inferiori rispetto a quelli previgenti, per violazione del principio di ragionevolezza". Osservava infatti la Corte come "la giurisprudenza di questa Corte si sia piu' volte soffermata sulla legittimita' delle norme retroattive, in genere, e di quelle destinate ad incidere sui rapporti di durata, in specie; affermando, in sintesi, che non puo' ritenersi interdetto al legislatore di emanare disposizioni modificative in senso sfavorevole, anche se l'oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi "perfetti": cio', peraltro, alla condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irragionevole, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate su disposizioni di leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto (ex multis, sentenza n. 166 del 2012). Infatti, pur se non puo' ritenersi interdetto al legislatore di emanare disposizioni modificative in senso sfavorevole, e anche se l'oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi "perfetti", nel caso di specie viene in risalto non soltanto un "generico" affidamento in un quadro normativo dal quale scaturiscano determinati diritti, - ma uno "specifico" affidamento in un fascio di situazioni (giuridiche ed economiche) iscritte in un rapporto convenzionale regolato iure privatorum tra pubblica amministrazione e titolari di aziende di deposito di vetture, secondo una specifica disciplina in ossequio alla quale le parti (entrambe le parti) hanno raggiunto l'accordo e assunto le rispettive obbligazioni. Il rapporto tra depositario e amministrazione e' risultato, pertanto, in itinere, stravolto in alcuni dei suoi elementi essenziali, al di fuori; peraltro, della previsione di qualsiasi meccanismo di concertazione di accordo e, anzi, con l'imposizione di oneri non previsti ne' prevedibili, ne' all'origine ne' in costanza del rapporto medesimo; al punto da potersi escludere che, al di la' delle reali intenzioni del legislatore, sia stato operato un effettivo e adeguato bilanciamento tra le esigenze contrapposte". Sempre la Corte costituzionale, con la richiamata sentenza n. 166/2012, aveva osservato il principio dell'affidamento nella sicurezza giuridica delle situazioni soggettive "trova si' copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non gia' in termini assoluti e inderogabili. Da un lato infatti, la fiducia nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio dev'essere consolidata, dall'altro, l'intervento normativo incidente su di esso deve risultare sproporzionato. Con la conseguenza che non e' interdetta al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, unica condizione essendo che tali disposizioni non, trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto. Analoghi principi risultano affermati anche nella sentenza n. 0271 del 2011, in cui egualmente si rimarcava l'illegittimita' di una normativa che intervenisse retroattivamente su di una disciplina pubblicistica (nel caso, quella che disciplinava l'entita' monetaria del trattamento di buonuscita dei dipendenti della Regione Calabria in caso di risoluzione consensuale del trattamento di lavoro) su cui avessero fatto ragionevole affidamento i cittadini nel compiere loro scelte negoziali (anche di particolare rilievo, nel caso concreto). Questo giudicante osserva quindi che, dalle menzionate sentenze, possano trarsi i seguenti principi, risultanti esplicitamente o implicitamente dalle statuizioni dalla Corte costituzionale: a) l'art. 3 della Costituzione tutela l'affidamento dei consociati in ordine alla immutabilita' del contenuto dei loro diritti sorti sotto il vigore di una previgente disciplina, essendo peraltro la sicurezza del contenuto delle situazioni giuridiche un elemento fondamentale dello Stato di diritto; b) tale immutabilita' e' peraltro relativa, potendo essa cedere di fronte alla necessita' del Legislatore di operare diversi contemperamenti degli interessi coinvolti, purche' la soluzione operata sia ragionevole anche in relazione al rango ed al grado dei principi costituzionali interessati; c) tanto vale in specie per le norme che vadano ad incidere sui rapporti di durata, in relazione ai quali, in particolare, si puo' porre la necessita' di operare un diverso contemperamento degli interessi coinvolti di fronte al mutare delle condizioni sociali e storiche e delle connesse mutevoli esigenze della convivenza; d) lo stesso e' a dirsi quanto a quelle situazioni in cui venga "in risalto non soltanto un "generico" affidamento in un quadro normativo dal quale scaturiscano determinati diritti, ma uno "specifico" affidamento in un fascio di situazioni (giuridiche ed economiche) iscritte in un rapporto convenzionale regolato iure privatorum tra pubblica amministrazione e privati. E' bene quindi osservare che la Corte non ha affermato, ed appare anzi negare, la legittimita' costituzionale di una disciplina che venga ad intervenire, in senso sfavorevole al destinatario, in relazione ad una situazione che non attenga ad un rapporto di durata, ma ad un normale rapporto in cui una parte abbia gia' adempiuto ai propri obblighi, e sia l'altra, non ancora adempiente, che si veda beneficiaria di una norma di particolare favore che riduca l'entita' della propria obbligazione, in assenza di qualsiasi giustificazione razionale alla luce degli interessi coinvolti. Ed invero, puo' senz'altro escludersi che a fondamento della disposizione di cui all'art. 1, comma 607, della legge n. 147/2013 possano porsi ragioni in alcun modo connesse a necessita' di ricondurre ad equita' un rapporto eventualmente squilibrato in favore della parte gia' adempiente, se e' vero che, con i DD.MM succedutisi, i tariffari relativi agli onorari di avvocato siano stati progressivamente innalzati riconoscendosene, evidentemente, la originaria o sopravvenuta inadeguatezza nel tempo. Ne' valga osservare che la Corte abbia fatto riferimento, con la sua citata giurisprudenza, a leggi che intervengano su rapporti di natura negoziale, perche' cio' non vale ad escludere, di per se', la pregnanza delle argomentazioni svolte nelle due citate sentenze anche con riferimento al caso in oggetto. Invero, la Corte ha inteso affermare come debba essere garantita la sicurezza dei consociati in ordine ai rapporti consolidati, e come sarebbe ingiusta e foriera di disparita' di trattamento una disciplina che intervenisse a mutare irragionevolmente i rapporti tra le parti: il che normalmente - ma non necessariamente - implica un rapporto di natura negoziale, pur potendosi facilmente determinare casi in cui, al di fuori dello schema del negozio giuridico, vengano a realizzarsi dei rapporti il cui sorgere ed articolarsi comunque poggi sull'affidamento in una determinata regolamentazione suscettibile di miglioramenti ma non di peggioramenti: il che appunto riguarda il caso dei compensi stabiliti per i difensori: e cio' non solo perche' in genere il rapporto tra il difensore ed il suo assistito sia di natura negoziale (come spesso accade nei casi di parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato), quanto anche perche' e' la legge a prevedere che il legale che voglia assumere difese il cui compenso sia determinato da regole legali sfavorevoli, lo faccia con propria manifestazione di volonta'; invero, l'art. 81, dpr 115/02 prevede la formazione di appositi elenchi, valevoli per la nomina del difensore da parte dell'imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato; ed il singolo professionista, deve ritenersi, si determinera' o meno alla presentazione della domanda di iscrizione nel suddetto elenco, anche in ragione delle sue valutazioni sulla convenienza economica o meno dell'assunzione dell'ufficio: convenienza che discende dalla normativa esistente in quel momento e sino a quello in cui avviene la nomina (potendo sino al giorno prima il professionista decidere) ad es. di cancellarsi dall'elenco). Di fatto, pertanto, pur non instaurandosi un rapporto di natura negoziale tra difensore e Stato, non puo' negarsi che all'assunzione della difesa di imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato concorra la manifestazione originaria di volonta' operata dal difensore sia all'atto della iscrizione nell'apposito elenco di cui al citato art. 81, sia al momento dell'accettazione dell'incarico professionale; questa volonta' e' orientata dall'affidamento in un determinato sistema normativo che ne disciplina il trattamento economico; un mutamento in peius di detto sistema non puo' non assumere rilevanza, specie qualora esso venga ad applicarsi, addirittura, ad un rapporto gia' compiutosi e di cui e' in sospeso solo l'adempimento degli obblighi di una delle parti (quella stessa parte - e cio' non puo' non assumere rilievo, amplificando la misura della disparita' di trattamento - che modifica le norme a suo favore). Deve pertanto essere qui sollevata la questione della illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 1, comma 607, della legge n. 147/2013, che e' rilevante trattandosi di norma che questo Giudice e' chiamato ad applicare al fine di operare la presente liquidazione. I limiti costituzionali alla pretensibilita' di prestazioni patrimoniali o personali ai sensi degli artt. 2 e 23 Cost. L'opera del difensore di imputato ammesso al patrocinio a spese dello Stato ha - da un punto di vista oggettivo ed ontologico - indubbiamente natura lavorativa, in quanto comporta l'esplicazione di energie intellettuali e/o fisiche esattamente corrispondenti a quelle oggetto delle attivita' di specifiche figure professionali normalmente operanti nel mercato del lavoro. L'art. 82, del DPR 115/02 e l'art. 9 del d.m. 140/2012 limitano peraltro il diritto di tale lavoratore al proprio compenso, fissando un massimo invalicabile che e' inferiore a quello che potrebbe chiedere un legale che difendesse un imputato che non si avvalesse del patrocinio a spese dello Stato. La fonte della legittimita' costituzionale di tale disciplina riposa nell'art. 23 Cost. che ammette che la legge possa imporre una prestazione personale, oltre che patrimoniale; e nell'art. 2 Cost., che chiama i cittadini all'adempimento dei doveri di solidarieta' sociale, nel cui ambito possono senz'altro farsi rientrare le ipotesi di occasionale prestazione del patrocinio difensivo con compensi inferiori a quelli ottenibili sul libero mercato, compensati dalla certezza del pagamento, di cui e' garante lo Stato. Sebbene non espressamente previsto dalle due norme teste' citate, deve ritenersi che nell'impianto costituzionale sia comunque insito un limite di ragionevolezza alle prestazioni che possono richiedersi. Lo si evince dal rispetto che la carta Costituzionale assegna e riconosce alla persona umana ed ai suoi diritti inviolabili, tra i quali senz'altro rientra - aspetto generale dei diritti di liberta' personale - quello di scegliere come disporre del proprio tempo ed il diritto a non essere assoggettati, neppure ad opera dello Stato, a forme di sfruttamento della propria opera lavorativa (cfr. proprio l'art. 2 Cost.; ma anche l'art. 36 Cost. nella parte in cui riconoscendo i diritto alle ferie retribuite ed ad un orario massimo di lavoro, tutela anche il diritto al tempo libero); lo si evince dalla principale norma in tema di prestazioni patrimoniali, l'art. 53 Cost. commisurando i doveri fiscali alla capacita' contributiva; lo si evince dalla tutela accordata alla proprieta' privata, espropriabile - giusta la previsione di cui all'art. 42, comma 3 Cost. - solo per ragioni di pubblico interesse e dietro indennizzo: indennizzo che, nella giurisprudenza della Corte costituzionale, deve avere le caratteristiche di un serio ristoro della perdita patrimoniale subita, e non un carattere irrisorio o simbolico (cfr., ad es., la sentenza n. 38/2011 della Corte costituzionale). Invero, gli artt. 2 e 23 Cost., pur legittimando i casi in cui al cittadino la legge richieda l'adempimento di doveri di solidarieta', e finanche la corresponsione di prestazioni di natura personale, vivono pur sempre nel contesto di altri principi costituzionali coi quali vanno coordinati, ed in primis gli artt. 35, 36 e 3 Cost., che impongono dei limiti al sacrificio che la legge ordinaria possa imporre al cittadino: limiti che sono sia di ragionevolezza - per evitare marcate situazioni di disparita' di trattamento con altri cittadini lavoratori chiamati a rendere prestazioni analoghe - che di entita' economica, per evitare che una prestazione lavorativa sia retribuita in maniera tale da mortificare la sua natura di riconoscimento del valore della prestazione lavorativa e di strumento di dignitoso sostentamento dell'individuo e della sua famiglia. Le tariffe professionali previste dai DD.MM. precedenti il d.m. 10 marzo 2014 si ponevano nei limiti della congruita' costituzionale: il d.m. 140/2102 vedeva gli importi mediamente superiori rispetto a quelli del sistema previdente, e l'onorario era "di norma" da diminuirsi della meta' (art. 9 del d.m.), in un sistema in cui, comunque, ai sensi dell'art. 1 del d.m., il Giudice non era vincolato ne' ai minimi ne' ai massimi tariffari, e poteva quindi agevolmente remunerare l'attivita' professionale in maniera congrua rispetto al suo effettivo valore; il d.m. precedente non prevedeva alcuna diminuzione della meta' per il patrocinio a spese dello Stato, ma in compenso i valori di tariffa erano mediamente inferiori a quello del successivo d.m. 140/2012; il d.m. 10 marzo 2014 introduce un considerevole aumento delle tariffe professionali, su di cui puo' quindi operare senza effetti troppo sensibili l'art. 106 bis del DPR 115/02 che introduce la riduzione di 1/3 degli importi da liquidarsi a carico dello Stato per i difensori di imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato e per i difensori di ufficio di imputati inadempimenti e non esecutabili. Il sistema aveva quindi un suo razionale equilibrio tra esigenze di adeguata remunerazione dell'attivita' professionale, natura pubblicistica dell'incarico, oneri di bilancio per lo Stato; e' la previsione dell'applicazione retroattiva dell'art. 106 bis dpr n. 115/02 anche alle liquidazioni da operarsi ai sensi dei DD.MM. precedenti quello del 10 marzo 2014, che stravolge l'equilibrio, conducendo alla liquidazione di onorari irrisori. Va quindi rilevato che la vigente disciplina intertemporale del trattamento economico dei difensori di imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato, nella parte in cui, ex art. 1, comma 607, legge n. 147/2013, prevede la riduzione di 1/3 dell'onorario da riconoscersi al difensore anche qualora la liquidazione debba essere eseguita applicando i DD.MM. antecedenti il d.m. 10 marzo 2014, vede detti difensori ricevere emolumenti la cui compressione non appare giustificabile con l'adempimento di doveri sociali e che appaiono essere assolutamente inidonei a garantire il rispetto del principio di ragionevolezza che deve mitigare l'onere ad essi imposto, e, infatti a fungere da serio ristoro rispetto all'impegno loro richiesto ed alla vera e propria espropriazione delle loro energie lavorative e del loro tempo. La violazione dell'art. 35 Cost. Di fatto, l'attuale normativa crea una classe di operatori economici che, in virtu' del possesso di determinate qualifiche, strumentali allo svolgimento del processo nel rispetto del diritto di difesa, e' soggetto per legge ad un palese sfruttamento economico, ad opera dello Stato che invece, per primo e' chiamato dalla Costituzione a realizzare le condizioni di eguaglianza tra i cittadini ed ad assicurare la congrua retribuzione del lavoro; per contro, la frequenza con cui l'A.G. ha necessita' di ricorrere all'opera di difensori di ufficio o di imputati ammessi al patrocinio a spese dello Stato, mal retribuiti, appare porsi in palese contrasto con l'art. 35 Cost., che impone allo Stato di tutelare il lavoro, mentre invece lo sfrutta, e rende difficoltoso all'ausiliario anche dedicarsi ad altre attivita' (si pensi al caso, tutt'altro che raro, di perizie molto impegnative). Gli emolumenti o indennita' spettanti per l'assolvimento di un ufficio pubblico, sono infatti sottoposti in primo luogo ad una retribuzione gia' di per se' limitata ex art. 82, dpr 115/02, rispetto a quanto sarebbe altrimenti liquidabile. A tale limitazione, che appare di per se' razionalmente compatibile con i ricordati artt. 2 e 23 Cost., si aggiunge quindi una rilevante decurtazione ex art. 106 bis, dpr 115/02 per fatti assolutamente indipendenti da alcun comportamento del difensore. Incompatibilita' con l'art. 36 della Costituzione. Ai sensi dell'art. 36 della Costituzione, alla prestazione di ogni attivita' lavorativa deve corrispondere la controprestazione di una retribuzione: a) proporzionata alla qualita' e quantita' del suo lavoro; b) sufficiente ad assicurare a se' ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Nessuna di tali condizioni appare assolta dalla vigente normativa intertemporale che, come ricostruita da questa A.G. nel rispetto del principio di legalita', si risolve nella corresponsione al difensore di una retribuzione irrazionalmente sperequata rispetto a quella prevista dalle tabelle forense all'epoca vigente e che si deve ritenere identifichino i limiti di idoneita' costituzionale, ex art. 36 Cost., del compenso per la specifica attivita' del difensore; l'onorario che si andrebbe invece a corrispondere applicando l'art. 106 bis, dpr 115/02 al caso concreto, e per di piu' retroattivamente, comporterebbe inoltre una palese sperequazione di trattamento rispetto a quello di cui hanno goduto, nella medesima situazione, altri legali che abbiano prestato attivita' similari e la cui istanza di liquidazione dell'onorario sia stata presentata e/o evasa prima dell'entrata in vigore dell'art. 106, bis dpr 115/02. Dovendo questo Tribunale procedere, nella determinazione dell'onorario, alla applicazione della norma di cui si censura la costituzionalita', la questione appare palesemente rilevante.