IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE 
                          Sezione 1ยช Penale 
 
    In persona del Giudice dott. Stefano Sernia decidendo  in  ordine
alla richiesta di liquidazione del proprio compenso  quale  difensore
di fiducia di imputato ammesso al patrocinio  a  spese  dello  Stato,
avanzata dall'avv. M.C. in data 18  aprile  2014  in  relazione  alla
difesa di: N. M., nato il a P. (S.) letti  gli  atti,  ha  emesso  la
seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    Risulta dagli atti che il legale istante sia stato  difensore  di
fiducia dell'imputato indicato in epigrafe, chiamato a rispondere del
reato  di  ricettazione  e  di  detenzione  per  la  vendita  di   cd
illecitamente  duplicati,  in  relazione  ai  quali  egli  e'   stato
condannato  a  pena  tenue,  col  riconoscimento   delle   attenuanti
generiche e di quella di cui all'art.  648  cpv  c.p.,  con  sentenza
emessa in data 13 dicembre 2013. 
    L'imputato risulta essere stata ammesso  al  patrocinio  a  spese
dello Stato, giusta decreto di questo Tribunale  in  data  30  agosto
2012; il difensore ha quindi diritto, ai sensi degli artt. 82 e  107,
dpr 115/02, a che lo Stato provveda a liquidarne l'onorario. 
    Terminata la fase del giudizio, il difensore chiede quindi che ne
vengano liquidati i compensi, ponendoli a  carico  dello  Stato  come
previsto dal DPR n. 115/02. 
    L'opera professionale e' stata svolta, per quel che  riguarda  la
fase la cui liquidazione e' di competenza  di  questa  A.G.,  in  due
udienze, escludendosi quelle di mero rinvio, di cui l'ultima in  data
30 agosto 2013, e pertanto ricade nell'ambito  temporale  di  vigenza
della legge n. 2/2012 e del d.m. n. 140/2012, di cui  vanno  pertanto
applicati i criteri di liquidazione,  giusta  quanto  ritenuto  dalle
Sezioni Unite civili  della  Corte  di  Cassazione  con  sentenza  12
ottobre 2012 n. 17406 (e con altra di identico contenuto). 
    Successivamente, e' stato altresi' pubblicato il  d.m.  10  marzo
2014, il quale ridetermina, in senso particolarmente piu' favorevole,
le tariffe da liquidarsi agli avvocati ad opera del  giudice;  l'art.
28 di detto decreto,  come  gia'  l'art.  41  di  quello  previgente,
prevede che esso si  applichi  a  tutte  le  liquidazioni  ancora  da
compiersi. 
    Stando  alla  lettera  dei  suddetti  regolamenti,  pertanto,  il
giudicante  chiamato  a  determinare  l'onorario  da  liquidarsi   al
difensore  dell'imputato  ai  sensi  dell'art.  82,  dpr  n.  115/02,
dovrebbe prescindere dal tariffario vigente all'epoca  in  cui  venne
prestata  l'opera  professionale  del  difensore,  ed  applicare   il
tariffario vigente all'epoca della liquidazione. 
    Si pone quindi un problema di apparente contrasto tra il  dettato
del regolamento e la previsione di legge (in particolare,  l'art.  11
delle preleggi), che prevedono che la  legge  (e  quindi,  a  maggior
ragione, le disposizioni  regolamentari  che  non  possono  porsi  in
contrasto con la legge, giusta la previsione di cui agli artt. 3 e  4
delle preleggi) possa disporre solo per l'avvenire,  laddove  inoltre
il suddetto regolamento si porrebbe in contrasto con l'art.  82,  del
DPR n. 115/02, che per la liquidazione rinvia  alle  tariffe  vigenti
all'epoca della prestazione professionale; e'  noto  come  l'art.  11
delle preleggi sia una disposizione di  legge  ordinaria,  derogabile
pertanto da altra norma di legge, purche' nel rispetto  dei  principi
costituzionali; ma  deve  quindi  a  tal  proposito  osservarsi  che,
invece, nessuna disposizione di legge preveda  espressamente  che  il
d.m. 10 marzo 2014 possa derogare al principio della irretroattivita'
delle disposizioni normative. 
    Deve invero considerarsi che le tabelle forensi hanno  natura  di
norma sostanziale, e di certo non processuale,  atteso  che,  pur  se
legate allo svolgimento  di  attivita'  processuali,  determinano  il
contenuto di un diritto  sostanziale,  e  cioe'  quello  relativo  al
valore economico da riconoscersi alla prestazione  professionale  del
legale per l'attivita' da lui svolta nel processo; da cio' discendono
tre conseguenze: 
      a)  la  retroattivita'  della  disposizione  regolamentare  non
potrebbe essere giustificata in base al  noto  principio  secondo  il
quale "tempus regit actum", atteso  che  questo  vale  per  le  norme
processuali  e  procedimentali  e  non  per  quelle   aventi   natura
sostanziale; 
      b) l'art. 28, del decreto 10 marzo 2014 si porrebbe  quindi  in
contrasto con l'art. 82, del  D.P.R.  n.  115/02,  che  determina  il
contenuto economico del diritto del legale alla corresponsione  delle
proprie   competenze;   la   norma   regolamentare   sarebbe   quindi
suscettibile di disapplicazione ex artt. 4 e  5  R.D.  n.  2248/1865,
alleg. E, perche' contraria a norma di legge; 
      c) la norma regolamentare dovrebbe poi  (ed  invero,  prima  di
tutto)  essere  disapplicata,  sempre  ai  sensi  dell'art.  5,  r.d.
2248/1865 alleg. E, in  quanto  contraria  anche  all'art.  3  Cost.,
atteso che l'applicazione della norma secondaria ai  casi  esauritisi
prima dell'entrata in vigore del d.m.  10  marzo  2014  comporterebbe
esiti di disparita' di trattamento tra professionisti,  assolutamente
ingiustificati, a seconda che  la  richiesta  di  liquidazione  delle
competenze professionali, da loro  avanzata,  sia  stata  decisa  dal
Giudicante (talora a prescindere dalla volonta' dell'istante,  e  per
ragioni legate ai differenti carichi di lavoro o tempi di smaltimento
dei diversi giudicanti) prima o dopo  l'entrata  in  vigore  predetto
d.m. 
    In tutti i casi in cui il Giudicante sia attualmente  chiamato  a
liquidare il compenso al  legale  ai  sensi  del  DPR  n.  115/02  in
relazione ad attivita' prestate prima  della  cessazione  del  valore
legale delle precedenti  tabelle  professionali  forensi,  le  stesse
dovranno pertanto continuare a trovare applicazione. 
    In tal  senso,  vale  la  pena  sottolineare,  sia  pure  tramite
percorso argomentativo piuttosto stringato, risultano  essersi  poste
le Sezioni Unite civili della Corte di  Cassazione  con  sentenza  12
ottobre 2012 n. 17406 (e con altra di  identico  contenuto),  con  la
quale hanno  statuito  che  "per  ragioni  di  ordine  sistematico  e
dovendosi  dare  al  citato  art.   41   del   decreto   ministeriale
un'interpretazione il piu' possibile coerente con i principi generali
cui e' ispirato l'ordinamento, la citata  disposizione  debba  essere
letta nel senso che i nuovi parametri siano da  applicare  ogni  qual
volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento  successivo
alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al
compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia
ancora completato la  propria  prestazione  professionale,  ancorche'
tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca
precedente, quando ancora erano in vigore  le  tariffe  professionali
abrogate"; laddove e' noto come, ai sensi dell'art. 83, comma 2,  DPR
n. 115/02, l'onorario del difensore di imputato ammesso al patrocinio
a spese dello Stato e' liquidato dall'A.G. al termine di ogni fase  o
grado del processo,  sicche'  e'  a  tali  momenti  che  occorre  far
riferimento per verificare se l'attivita' del difensore si sia o meno
esaurita prima dell'entrata in vigore del nuovo tariffario di cui  al
citato regolamento. 
    Nel caso in oggetto, l'attivita'  defensionale  posta  in  essere
dall'istante,  come  si  e'  visto,  e'  cessata   senz'altro   prima
dell'entrata in vigore del d.m. 10 marzo 2012  e  si  pone  sotto  il
vigore del d.m. n. 140/2012. 
    Passando quindi alla determinazione degli onorari,  va  ricordato
come la stessa vada comunque eseguita in osservanza anche dei criteri
stabiliti dall'art. 82, comma 1, DPR n. 115/02, e quindi con  divieto
di superare  i  valori  medi  delle  tariffe  professionali  vigenti,
tenendo altresi' conto della natura  dell'impegno  professionale,  in
relazione all'incidenza degli atti assunti  rispetto  alla  posizione
della persona difesa; ne consegue che il massimo liquidabile e'  pari
alla  media  tra  minimi  e  massimi   tariffari,   e   puo'   essere
riconosciuto, trattandosi appunto di un massimo,  solo  a  fronte  di
attivita' di eccezionale pregio o comunque svolta in procedimenti  di
particolare complessita';  gli  artt.  9  e  12,  del  d.m.  140/2012
peraltro reiterano tali principi, prevedendo la riduzione al 50%  dei
compensi professionali in caso di prestazioni operate  in  favore  di
parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. 
    Posto che il regolamento, in base ai principi generali, non  puo'
dettare disposizioni contrarie a quelle stabilite dalla legge (art. 4
delle c.d. preleggi), non puo' ritenersi che gli artt. 9  e  12,  del
d.m. citato possa aver introdotto la possibilita'  di  una  riduzione
ulteriore dei massimi liquidabili, rispetto a quella derivante  dalla
media tra minimi e massimi,  perche'  in  tal  caso  si  porrebbe  in
contrasto con l'art. 82, del dpr  n.  115/02;  le  due  norme  devono
pertanto operare sinergicamente secondo  ambiti  differenti  che  non
pongano il regolamento in contrasto con la legge, e la piu'  corretta
interpretazione sembra pertanto dover essere quella che assegna  alla
norma di cui all'art. 82 citato la funzione di un limite massimo,  di
talche': 
      a) i compensi, per come stabiliti dal  d.m.  140/2012,  possano
essere ridotti della meta' rispetto a quelli liquidabili,  secondo  i
criteri generali posti dallo stesso  d.m.,  in  ragione  dell'impegno
profuso, della qualita' della prestazione e della sua utilita' per la
parte assistita, potendo invece  il  massimo,  pari  alla  media  tra
minimi e massimi edittali - e cioe' i valori medi indicati  dal  d.m.
140/2012  -  essere  liquidati  solo  a  fronte  di  prestazioni   di
particolare pregio; 
      b) detti compensi non possano comunque  essere  mai  superiori,
stando alla lettera del citato art. 82, DPR n. 115/02, alla media tra
i minimi ed i massimi  liquidabili  in  forza  dei  criteri  generali
stabiliti dalle tabelle allegate al d.m. citato. 
    Orbene, poiche' i valori tabellari introdotti dal d.m. citato  in
forza della previsione di cui alla legge n. 27/2012  sono  sviluppati
in relazione a singole predeterminate fasi tipiche del processo,  sul
paradigma del giudizio monocratico (aumentabili del 30%  nei  giudizi
collegiali), secondo il seguente schema: 
      Fase di studio: valore medio euro 300; aumento fino a  +  300%,
diminuzione sino a -50%; 
      Fase introduttiva: valore medio euro  600;  aumento  fino  a  +
300%, diminuzione sino a -50%; 
      Fase istruttoria: valore medio euro  900;,  aumento  fino  a  +
300%, diminuzione sino a -70%; 
      Fase decisoria: valore medio euro 900;, aumento fino a +  300%,
diminuzione sino a -70%; 
      Fase esecutiva: euro 20,00 per ogni ora o frazione, con aumento
o diminuzione del 50%. 
    E poiche' il processo  si  e'  concluso  con  esito  parzialmente
favorevole  all'imputato,  grazie  al  riconoscimento  di  attenuanti
idonee ad abbattere notevolmente la pena, in esito a due  udienze  di
effettiva trattazione, ma peraltro di impegno  non  gravoso,  essendo
stati escussi solo i verbalizzanti  rispetto  a  vicenda  che,  dalla
lettura  della  sentenza,  si  comprende  essere  stata   di   facile
ricostruzione, si stima quindi equo e congruo liquidare  gli  onorari
su valori leggermente inferiori a quelli medi di fase, con  ulteriore
riduzione del 50% trattandosi di  imputato  ammesso  a  patrocinio  a
spese dello Stato; si perviene quindi ai seguenti onorari: 
      Fase di studio: valore medio euro 300; diminuzione sino a 50% =
euro 270; riduz. ex art. 12 = euro 135; 
      Fase introduttiva: valore medio euro 600; diminuz. sino a 50% =
euro 500; riduz. ex art. 12 = euro 250; 
      Fase istruttoria: valore medio euro 900; riduz. sino al  70%  =
euro 750,00; riduz. ex art. 12 = euro 375; 
      Fase decisoria: valore medio euro 900; diminuz. sino a  -70%  =
euro 600; riduz. ex art. 12 = euro 300; 
      Fase    esecutiva:    non    spetta,    liquidandosi     quindi
complessivamente euro 1.060,00; non risultano documentate spese e  le
stesse, in mancanza di riproduzione della previsione del diritto alla
liquidazione forfettaria del 12,5%, no spettano. 
L'art. 106 bis, DPR n. 115/02, introdotto  dall'art.  1,  comma  606,
legge n. 147/2013 - Applicazione retroattiva ai  sensi  dell'art.  1,
comma 607, dpr n. 115/02. 
    Va quindi rilevato che la somma liquidata a titolo di onorario va
ulteriormente ridotta di 1/3 e portata quindi ad euro  706,66:  sulla
disciplina sopra descritta opera infatti, con  effetti  sensibilmente
riduttivi degli importi da liquidarsi, l'art. 106  bis,  del  DPR  n.
115/02, introdotto dal comma 606, lett. b) dell'art. 1,  della  legge
n. 147/2013, c.d. "legge stabilita'" per  il  2014,  che  prevede  la
riduzione di 1/3 degli onorari spettanti ai difensori, ai custodi, ai
consulenti nominati dal Giudice e dalle parti ed agli altri ausiliari
del giudice: norma che, ai sensi dell'art. 1, comma 607, della  legge
n.  147/2013,  va  applicata  anche  retroattivamente,  a  tutte   le
liquidazioni non ancora operate dal Giudice alla data di  entrata  in
vigore della legge. 
    Nonostante l'assistenza difensiva  sia  stata  quindi  portata  a
termine dall'istante ben prima dell'entrata in vigore della legge  n.
147/2013,  anche  all'onorario  da  liquidarsi  per  tale  opera   e'
applicabile, ai sensi del citato comma 607 dell'art. 1 della suddetta
legge n. 147/2013, la decurtazione di 1/3. 
    Ed invero, la norma appare pertanto avere portata  generale  ogni
qualvolta debba procedersi a liquidazione dell'onorario del difensore
a carico dello Stato  in  applicazione  delle  norme  sul  "gratuito"
patrocinio: e quindi sia che vi sia stata ammissione al patrocinio  a
spese dello Stato, sia allorche' dette norme siano  richiamate  nelle
ipotesi di cui all'art. 116, dpr 115/02. 
    Ne' la riduzione di  1/3,  introdotta  dalla  norma  in  oggetto,
appare  agevolmente  giustificabile  con  la  natura   "latu   sensu"
pubblicistica dell'incarico, atteso che  la  decurtazione  introdotta
dall'art. 106 bis, dpr n. 115/02 va  ad  operare  su  di  un  sistema
tariffario che, ai sensi  dell'art.  82,  comma  1  dpr  medesimo,  e
dell'art. 9 del d.m. 140/2012, gia' e' impostato in maniera  tale  da
mitigare l'onere dei tariffari professionali contemperandoli  con  la
natura pubblicistica dell'incarico, prevedendosi  la  liquidabilita',
al massimo, di un onorario pari alla media tra i minimi ed i  massimi
previsti dalle tabelle professionali. 
    A parere del Tribunale, appare non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale  -  per  contrasto  con  gli
artt. 35, 36 e 3 della Costituzione - dell'attuale disciplina, che  -
andando ad operare su di un sistema tariffario gia' impostato  su  di
una compressione degli onorari liquidabili, ulteriormente  li  riduce
senza giustificazione apparente, specie per  quel  che  riguarda  gli
onorari da liquidarsi in forza dei tariffari  antecedenti  quello  di
cui al d.m. 10  marzo  2014  (il  quale  ultimo  prevede  importi  di
notevole entita' e tali da rendere non irragionevole la  decurtazione
quando l'onorario debba essere a carico dello Stato). 
    Inoltre, appare al giudicante altresi' fondata  la  questione  di
illegittimita' costituzionale,  per  contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione, dell'art. 1, comma 607, della legge n. 147/2013,  nella
parte in cui prevede l'applicabilita' della riduzione,  prevista  dal
novello  art.  106  bis  dpr  115/02,  anche  alla  liquidazione   di
prestazioni professionali gia' operate nel  vigore  della  precedente
normativa, ma ancora non liquidate dal giudice. 
    Va in primo luogo ritenuta la natura di  decisione,  a  carattere
giurisdizionale, del provvedimento di liquidazione del  compenso  del
difensore,  analogamente  a  quanto   gia'   ritenuto   dalla   Corte
costituzionale con  la  sentenza  n.  88  del  1970,  atteso  che  il
provvedimento di liquidazione e' previsto in apeo al giudice  da  una
norma di natura processuale, come dimostrato  dalla  circostanza  che
l'antecedente cronologico dell'art. 116 dpr 115/02 era  -  con  testo
pressocche' identico - nell'art. 32,  comma  2  disp.  att.  cpp;  ne
consegue che, nonostante la apparente natura amministrativa dell'atto
di liquidazione, appartenendo pero'  questo  pur  sempre  al  giudice
nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali,  tanto  da  essere
stato gia' previsto dall'art. 32, comma 2 disp.  att.  cpp,  esso  ha
legalmente natura giurisdizionale, e l'autorita' che e'  chiamato  ad
emetterlo e' quindi "Giudice" nel senso previsto dall'art.  1,  della
legge Cost. n. 1 del 1948, sicche' la questione di  costituzionalita'
delle   leggi   che   disciplinano   l'atto   di   liquidazione    e'
conseguentemente sollevabile  d'ufficio  dal  Giudice  ai  sensi  del
citato. art. 1 della l. Cost. n. 1 del 1948. 
    La previsione di compensi particolarmente modesti,  assolutamente
e  notevolmente  inferiori  a  quelli  previsti   per   la   medesima
prestazione resa in regime di mercato, appare porsi in primo luogo in
contrasto con i principi costituzionali in tema di tutela del  lavoro
e di equa ed  adeguata  retribuzione  delle  prestazioni  lavorative,
senza  che  appaia  legittimo  trarre  nella  natura   "latu   sensu"
pubblicistica  dell'ufficio  di  difensore  di  imputato  ammesso  al
patrocinio a spese dello Stato,  giustificazioni  ad  un  trattamento
economico si' marcatamente penalizzante e che realizza una disparita'
di trattamento,  rispetto  a  chi  presti  le  medesime  attivita'  a
condizioni di mercato,  troppo  accentuata  per  essere  giustificata
dalla  natura  dell'incarico  e   dall'adempimento   di   doveri   di
solidarieta' sociale. 
    Deve poi fortemente dubitarsi della  legittimita'  costituzionale
di una normativa che vada a rideterminare  in  peius  e  con  effetti
retroattivi l'entita' economica di quanto di spettanza al difensore a
retribuzione della propria opera, come si osserva  quindi  nel  punto
che immediatamente segue. 
Contrasto dell'art. 1, comma 607, legge n. 147/14 con l'art. 3 Cost. 
    Come si e' anticipato, la norma  in  oggetto  opera  con  effetti
retroattivi,  essendo   espressamente   previsto   che   essa   trovi
applicazione  a  tutte  le  liquidazioni  ancora  da  compiersi;   la
formulazione dell'art. 1, comma 607, della legge n.  147/2013  appare
quindi in linea con le scelte - in quei casi forse di semplificazione
ma non di economia di spesa -  che  sorreggono  anche  i  criteri  di
applicabilita' dei DD.MM. 140/2012 e 10 marzo 2014; con la differenza
che,  mentre  le  norme  dei  due  decreti   sono   suscettibili   di
disapplicazione e possono piu'  agevolmente  essere  interpretate  in
modo da riportarle a rispetto dei principi di legge, non  altrettanto
e' possibile quanto alla citata norma di cui all'art. 1,  comma  607,
della legge n. 147/2013 che, avendo forza di legge, non  puo'  essere
disapplicata. 
    Essa si applica a tutte le liquidazioni ancora da compiersi; e la
formula adottata dal  legislatore,  nella  sua  assolutezza  che  non
consente diverse letture, non permette di distinguere tra prestazioni
gia' eseguite o prestazioni ancora in  fieri:  e  d'altra  parte,  la
stessa funzione e ragion d'essere della norma, chiarissima nella  sua
formulazione, appare essere proprio quella di sollevare  l'interprete
dal compito  di  selezionare  tra  i  vari  casi  e  ricostruire  una
disciplina intertemporale, avendo il Legislatore optato  per  la  via
piu' rapida e foriera di maggior  benefici  economici  per  le  casse
dello Stato. 
    Va quindi ribadito che detta norma si applica  non  solo  per  il
futuro, ma anche per il passato, concorrendo a determinare  l'entita'
monetaria dell'onorario da liquidarsi anche ai difensori di ufficio o
di imputati ammessi al patrocinio a spese dello  Stato,  che  abbiano
gia' prestato la propria opera ed esaurito l'ufficio loro affidato; e
tale modifica, come si e' detto,  opera  in  peius,  introducendo  la
riduzione di 1/3 di quanto altrimenti sarebbe  stato  loro  liquidato
nel vigore della normativa esistente nel momento in cui e' stato loro
affidato l'incarico di difensore di ufficio. 
    Invero, va in primo luogo  escluso  che  il  complesso  di  norme
(artt. 82 e 106 bis dpr 115/02; DD.MM. in tema  di  tariffe  forensi)
gia'  richiamate   e   che   concorrono   a   determinare   l'entita'
dell'onorario da liquidarsi al difensore, abbiano natura  processuale
e soggiacciano, pertanto  al  principio  secondo  cui  "tempus  regit
actum"; invece, le norme surrichiamate, concorrendo a determinare non
solo le modalita' procedimentali con  cui  si  procede  al  pagamento
dell'ausiliario, ma anche alla determinazione del quantum da pagarsi,
hanno evidente natura sostanziale, in quanto determinano il contenuto
stesso del diritto economico spettante al  difensore  e  sono  quindi
norma di natura sostanziale. 
    Cio' posto, ne emerge un delicato problema di compatibilita'  con
il principio di eguaglianza, in quanto ne deriva la sottoposizione  a
diverso trattamento economico dei difensori di' ufficio  che  abbiano
svolto la medesima prestazione, a seconda che,  anche  senza  nessuna
loro colpa ma per semplice  difficolta'  di  alcuni  dei  giudici  ad
esaurire rapidamente tutte le operazioni  di  liquidazione,  le  loro
istanze siano gia' state evase,  o  meno,  all'atto  dell'entrata  in
vigore dell'art. 106 bis del D.P.R. 115/02. 
    Una legge retroattiva, di per se', pone poi problemi di  rispetto
dell'art.  3  Cost.  introducendo  il   rischio   di   ingiustificate
disparita' di trattamento tra consociati, sia che siano parte  di  un
rapporto di cui  mutino  la  natura,  o  l'oggetto  ed  il  contenuto
concreto, per effetto della norma retroattiva, venendo cosi' alterato
l'equilibrio del rapporto come concordato tra le parti  (con  lesione
altresi' dell'art. 41 Cost.  che,  tutelando  l'iniziativa  economica
privata,  e'  altresi'  fondamento   del   principio   dell'autonomia
contrattuale, senza la quale non puo' esservi liberta' di  iniziativa
economica), sia che -  non  intervenendo  su  situazioni  interamente
esaurite (come nel caso in oggetto, in cui  non  sono  interessati  i
provvedimenti di liquidazione gia' emessi) - disciplini  diversamente
il diritto di soggetti nella stessa situazione. 
    La  Corte  costituzionale  ha  gia'  affrontato  il  tema   della
legittimita'   costituzionale   delle   leggi    retroattive;    pur,
condivisibilmente, rilevando la natura non  costituzionale  dell'art.
11 delle preleggi (che appunto dispone che la legge disponga solo per
l'avvenire),  ha  comunque  evidenziato  dei   principi   di   ordine
costituzionale che limitano  i  casi  in  cui  il  Legislatore  possa
emettere leggi con efficacia retroattiva. 
    In particolare, codesto Giudice delle leggi ha statuito,  con  la
sentenza  n.  0092  del  2013,  la  "l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 38, commi 2, 4, 6 e  10,  del  decreto-legge  30  settembre
2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326,  nella
parte  in  cui  riconosce  al  custode  giudiziario  di   autoveicoli
sottoposti al fermo amministrativo, con effetto retroattivo, compensi
inferiori rispetto a quelli previgenti, per violazione del  principio
di   ragionevolezza".   Osservava   infatti   la   Corte   come   "la
giurisprudenza di questa Corte si sia  piu'  volte  soffermata  sulla
legittimita'  delle  norme  retroattive,  in  genere,  e  di   quelle
destinate ad incidere sui rapporti di durata, in specie;  affermando,
in sintesi, che non  puo'  ritenersi  interdetto  al  legislatore  di
emanare disposizioni modificative  in  senso  sfavorevole,  anche  se
l'oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi
"perfetti": cio', peraltro, alla condizione che tali disposizioni non
trasmodino in un regolamento irragionevole, frustrando, con  riguardo
a situazioni sostanziali fondate su disposizioni di leggi precedenti,
l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da  intendersi
quale elemento  fondamentale  dello  Stato  di  diritto  (ex  multis,
sentenza n. 166 del 2012). 
    Infatti, pur se non puo' ritenersi interdetto al  legislatore  di
emanare disposizioni modificative in senso sfavorevole,  e  anche  se
l'oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi
"perfetti", nel caso di specie  viene  in  risalto  non  soltanto  un
"generico" affidamento in un quadro normativo dal quale  scaturiscano
determinati diritti, - ma uno "specifico" affidamento in un fascio di
situazioni  (giuridiche  ed  economiche)  iscritte  in  un   rapporto
convenzionale regolato iure privatorum tra pubblica amministrazione e
titolari di aziende di deposito di  vetture,  secondo  una  specifica
disciplina in ossequio alla quale le parti (entrambe le parti)  hanno
raggiunto l'accordo e assunto le rispettive obbligazioni. Il rapporto
tra depositario e amministrazione e' risultato, pertanto, in itinere,
stravolto in alcuni  dei  suoi  elementi  essenziali,  al  di  fuori;
peraltro, della previsione di qualsiasi meccanismo  di  concertazione
di accordo e, anzi, con  l'imposizione  di  oneri  non  previsti  ne'
prevedibili, ne' all'origine ne' in costanza del  rapporto  medesimo;
al punto da potersi escludere che, al di la' delle  reali  intenzioni
del  legislatore,  sia  stato  operato  un   effettivo   e   adeguato
bilanciamento tra le esigenze contrapposte". 
    Sempre la Corte costituzionale, con  la  richiamata  sentenza  n.
166/2012,  aveva  osservato  il  principio   dell'affidamento   nella
sicurezza giuridica delle situazioni soggettive "trova si'  copertura
costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non gia' in termini  assoluti  e
inderogabili. Da un lato infatti, la  fiducia  nella  permanenza  nel
tempo di un determinato assetto regolatorio  dev'essere  consolidata,
dall'altro,  l'intervento  normativo  incidente  su  di   esso   deve
risultare sproporzionato. Con la conseguenza che non e' interdetta al
legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare  in
senso sfavorevole per i beneficiari la  disciplina  dei  rapporti  di
durata, anche se  l'oggetto  di  questi  sia  costituito  da  diritti
soggettivi perfetti, unica condizione essendo che  tali  disposizioni
non,  trasmodino  in  un  regolamento  irrazionale,  frustrando,  con
riguardo a situazioni sostanziali  fondate  sulle  leggi  precedenti,
l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da  intendersi
quale elemento fondamentale dello Stato di diritto. 
    Analoghi principi risultano affermati  anche  nella  sentenza  n.
0271 del 2011, in cui egualmente si rimarcava l'illegittimita' di una
normativa che intervenisse  retroattivamente  su  di  una  disciplina
pubblicistica (nel caso, quella che disciplinava l'entita'  monetaria
del trattamento di buonuscita dei dipendenti della  Regione  Calabria
in caso di risoluzione consensuale del trattamento di lavoro) su  cui
avessero fatto ragionevole affidamento i cittadini nel compiere  loro
scelte negoziali (anche di particolare rilievo, nel caso concreto). 
    Questo giudicante osserva quindi che, dalle menzionate  sentenze,
possano trarsi  i  seguenti  principi,  risultanti  esplicitamente  o
implicitamente dalle statuizioni dalla Corte costituzionale: 
      a)  l'art.  3  della  Costituzione  tutela  l'affidamento   dei
consociati in  ordine  alla  immutabilita'  del  contenuto  dei  loro
diritti sorti sotto il vigore di una previgente  disciplina,  essendo
peraltro la sicurezza del contenuto delle  situazioni  giuridiche  un
elemento fondamentale dello Stato di diritto; 
      b) tale immutabilita' e' peraltro relativa, potendo essa cedere
di  fronte  alla  necessita'  del  Legislatore  di  operare   diversi
contemperamenti  degli  interessi  coinvolti,  purche'  la  soluzione
operata sia ragionevole anche in relazione al rango ed al  grado  dei
principi costituzionali interessati; 
      c) tanto vale in specie per le norme che vadano ad incidere sui
rapporti di durata, in relazione ai quali, in  particolare,  si  puo'
porre la necessita'  di  operare  un  diverso  contemperamento  degli
interessi coinvolti di fronte al mutare delle  condizioni  sociali  e
storiche e delle connesse mutevoli esigenze della convivenza; 
      d) lo stesso e' a dirsi quanto a quelle situazioni in cui venga
"in risalto non soltanto  un  "generico"  affidamento  in  un  quadro
normativo  dal  quale  scaturiscano  determinati  diritti,   ma   uno
"specifico" affidamento in un fascio  di  situazioni  (giuridiche  ed
economiche) iscritte  in  un  rapporto  convenzionale  regolato  iure
privatorum tra pubblica amministrazione e privati. 
    E' bene quindi osservare che la Corte non ha affermato, ed appare
anzi negare, la legittimita' costituzionale  di  una  disciplina  che
venga ad  intervenire,  in  senso  sfavorevole  al  destinatario,  in
relazione ad una situazione che non attenga ad un rapporto di durata,
ma ad un normale rapporto in cui una parte abbia  gia'  adempiuto  ai
propri obblighi, e sia l'altra, non ancora adempiente,  che  si  veda
beneficiaria di una norma di particolare favore che riduca  l'entita'
della propria obbligazione, in assenza di  qualsiasi  giustificazione
razionale alla luce degli interessi coinvolti. 
    Ed invero, puo' senz'altro  escludersi  che  a  fondamento  della
disposizione di cui all'art. 1, comma 607, della  legge  n.  147/2013
possano  porsi  ragioni  in  alcun  modo  connesse  a  necessita'  di
ricondurre ad equita' un rapporto eventualmente squilibrato in favore
della parte gia' adempiente, se e' vero che, con i DD.MM succedutisi,
i  tariffari  relativi  agli  onorari   di   avvocato   siano   stati
progressivamente  innalzati   riconoscendosene,   evidentemente,   la
originaria o sopravvenuta inadeguatezza nel tempo. 
    Ne' valga osservare che la Corte abbia fatto riferimento, con  la
sua citata giurisprudenza, a leggi che intervengano  su  rapporti  di
natura negoziale, perche' cio' non vale ad escludere, di per se',  la
pregnanza delle argomentazioni svolte nelle due citate sentenze anche
con riferimento al caso in oggetto. 
    Invero, la Corte ha inteso affermare come debba essere  garantita
la sicurezza dei consociati in ordine ai rapporti consolidati, e come
sarebbe  ingiusta  e  foriera  di  disparita'  di   trattamento   una
disciplina che intervenisse a mutare irragionevolmente i rapporti tra
le parti: il che normalmente - ma non necessariamente  -  implica  un
rapporto di natura negoziale, pur  potendosi  facilmente  determinare
casi in cui, al di fuori dello schema del negozio giuridico,  vengano
a realizzarsi dei rapporti il cui  sorgere  ed  articolarsi  comunque
poggi   sull'affidamento   in   una   determinata    regolamentazione
suscettibile di miglioramenti ma non di peggioramenti: il che appunto
riguarda il caso dei compensi stabiliti per i difensori: e  cio'  non
solo perche' in genere  il  rapporto  tra  il  difensore  ed  il  suo
assistito sia di natura negoziale (come spesso  accade  nei  casi  di
parti ammesse al  patrocinio  a  spese  dello  Stato),  quanto  anche
perche' e' la legge a prevedere che il  legale  che  voglia  assumere
difese il cui compenso sia determinato da regole legali  sfavorevoli,
lo faccia con propria manifestazione di volonta'; invero, l'art.  81,
dpr 115/02 prevede la formazione di appositi elenchi, valevoli per la
nomina del difensore da parte dell'imputato ammesso al  patrocinio  a
spese dello Stato; ed il singolo professionista, deve  ritenersi,  si
determinera' o meno alla presentazione della  domanda  di  iscrizione
nel suddetto elenco, anche in ragione  delle  sue  valutazioni  sulla
convenienza   economica   o   meno   dell'assunzione    dell'ufficio:
convenienza che discende dalla normativa esistente in quel momento  e
sino a quello in cui avviene la nomina (potendo sino al giorno  prima
il professionista decidere) ad es. di cancellarsi dall'elenco). 
    Di fatto, pertanto, pur non instaurandosi un rapporto  di  natura
negoziale tra difensore e Stato, non puo' negarsi che  all'assunzione
della difesa di imputato ammesso al patrocinio a  spese  dello  Stato
concorra  la  manifestazione  originaria  di  volonta'  operata   dal
difensore sia all'atto della iscrizione nell'apposito elenco  di  cui
al citato art. 81, sia  al  momento  dell'accettazione  dell'incarico
professionale; questa volonta' e' orientata  dall'affidamento  in  un
determinato  sistema  normativo  che  ne  disciplina  il  trattamento
economico; un mutamento in  peius  di  detto  sistema  non  puo'  non
assumere  rilevanza,  specie  qualora  esso  venga   ad   applicarsi,
addirittura, ad un rapporto gia' compiutosi e di cui  e'  in  sospeso
solo l'adempimento degli obblighi di una delle parti  (quella  stessa
parte - e cio' non puo' non assumere rilievo, amplificando la  misura
della disparita' di  trattamento  -  che  modifica  le  norme  a  suo
favore). 
    Deve  pertanto  essere   qui   sollevata   la   questione   della
illegittimita' costituzionale della norma di cui  all'art.  1,  comma
607, della legge n. 147/2013, che e' rilevante trattandosi  di  norma
che questo Giudice e' chiamato ad applicare al  fine  di  operare  la
presente liquidazione. 
I  limiti  costituzionali   alla   pretensibilita'   di   prestazioni
patrimoniali o personali ai sensi degli artt. 2 e 23 Cost. 
    L'opera del difensore di imputato ammesso al patrocinio  a  spese
dello Stato ha - da un punto  di  vista  oggettivo  ed  ontologico  -
indubbiamente natura lavorativa, in quanto comporta l'esplicazione di
energie intellettuali e/o fisiche esattamente corrispondenti a quelle
oggetto  delle   attivita'   di   specifiche   figure   professionali
normalmente operanti nel mercato del lavoro. 
    L'art. 82, del DPR 115/02 e l'art. 9 del d.m.  140/2012  limitano
peraltro il diritto di tale lavoratore al proprio compenso,  fissando
un massimo invalicabile  che  e'  inferiore  a  quello  che  potrebbe
chiedere un legale che difendesse un imputato che  non  si  avvalesse
del patrocinio a spese dello Stato. 
    La fonte della legittimita'  costituzionale  di  tale  disciplina
riposa nell'art. 23 Cost. che ammette che la legge possa imporre  una
prestazione personale, oltre che patrimoniale; e nell'art.  2  Cost.,
che chiama i cittadini all'adempimento  dei  doveri  di  solidarieta'
sociale, nel cui ambito possono senz'altro farsi rientrare le ipotesi
di occasionale prestazione  del  patrocinio  difensivo  con  compensi
inferiori a quelli ottenibili sul libero  mercato,  compensati  dalla
certezza del pagamento, di cui e' garante lo Stato. 
    Sebbene non espressamente previsto dalle due norme teste' citate,
deve ritenersi che nell'impianto costituzionale sia  comunque  insito
un limite di ragionevolezza alle prestazioni che possono richiedersi. 
    Lo si evince dal rispetto che la carta Costituzionale  assegna  e
riconosce alla persona umana ed ai suoi diritti  inviolabili,  tra  i
quali senz'altro rientra - aspetto generale dei diritti  di  liberta'
personale - quello di scegliere come disporre del proprio tempo ed il
diritto a non essere assoggettati, neppure ad opera  dello  Stato,  a
forme di sfruttamento della propria opera  lavorativa  (cfr.  proprio
l'art. 2  Cost.;  ma  anche  l'art.  36  Cost.  nella  parte  in  cui
riconoscendo i diritto alle ferie retribuite ed ad un orario  massimo
di lavoro, tutela anche il diritto al tempo  libero);  lo  si  evince
dalla principale norma in tema di prestazioni patrimoniali, l'art. 53
Cost. commisurando i doveri fiscali alla capacita'  contributiva;  lo
si  evince  dalla   tutela   accordata   alla   proprieta'   privata,
espropriabile - giusta la previsione di  cui  all'art.  42,  comma  3
Cost. - solo per ragioni di pubblico interesse e  dietro  indennizzo:
indennizzo che, nella giurisprudenza della Corte costituzionale, deve
avere  le  caratteristiche  di  un  serio   ristoro   della   perdita
patrimoniale subita, e non un carattere irrisorio o simbolico  (cfr.,
ad es., la sentenza n. 38/2011 della Corte costituzionale). 
    Invero, gli artt. 2 e 23 Cost., pur legittimando i casi in cui al
cittadino la legge richieda l'adempimento di doveri di  solidarieta',
e finanche la corresponsione  di  prestazioni  di  natura  personale,
vivono pur sempre nel contesto di altri principi  costituzionali  coi
quali vanno coordinati, ed in primis gli artt. 35, 36 e 3 Cost.,  che
impongono dei limiti al  sacrificio  che  la  legge  ordinaria  possa
imporre al cittadino: limiti che sono sia  di  ragionevolezza  -  per
evitare marcate situazioni di disparita'  di  trattamento  con  altri
cittadini lavoratori chiamati a rendere prestazioni analoghe - che di
entita' economica, per evitare che  una  prestazione  lavorativa  sia
retribuita  in  maniera  tale  da  mortificare  la  sua   natura   di
riconoscimento del valore della prestazione lavorativa e di strumento
di dignitoso sostentamento dell'individuo e della sua famiglia. 
    Le tariffe professionali previste dai DD.MM. precedenti  il  d.m.
10 marzo 2014 si ponevano nei limiti della congruita' costituzionale:
il d.m. 140/2102 vedeva gli importi mediamente superiori  rispetto  a
quelli del  sistema  previdente,  e  l'onorario  era  "di  norma"  da
diminuirsi della meta' (art. 9 del  d.m.),  in  un  sistema  in  cui,
comunque, ai sensi dell'art. 1 del d.m., il Giudice non era vincolato
ne' ai minimi ne' ai massimi tariffari, e poteva  quindi  agevolmente
remunerare l'attivita' professionale in maniera congrua  rispetto  al
suo  effettivo  valore;  il  d.m.  precedente  non  prevedeva  alcuna
diminuzione della meta' per il patrocinio a spese dello Stato, ma  in
compenso i valori di tariffa erano mediamente inferiori a quello  del
successivo  d.m.  140/2012;  il  d.m.  10  marzo  2014  introduce  un
considerevole aumento delle tariffe professionali,  su  di  cui  puo'
quindi operare senza effetti troppo sensibili l'art. 106 bis del  DPR
115/02 che introduce la riduzione di 1/3 degli importi da  liquidarsi
a  carico  dello  Stato  per  i  difensori  di  imputati  ammessi  al
patrocinio a spese dello Stato  e  per  i  difensori  di  ufficio  di
imputati inadempimenti e non esecutabili. 
    Il sistema aveva quindi un suo razionale equilibrio tra  esigenze
di  adeguata  remunerazione  dell'attivita'   professionale,   natura
pubblicistica dell'incarico, oneri di bilancio per lo  Stato;  e'  la
previsione dell'applicazione retroattiva dell'art.  106  bis  dpr  n.
115/02 anche alle  liquidazioni  da  operarsi  ai  sensi  dei  DD.MM.
precedenti quello del 10  marzo  2014,  che  stravolge  l'equilibrio,
conducendo alla liquidazione di onorari irrisori. 
    Va quindi rilevato che la vigente disciplina  intertemporale  del
trattamento economico dei difensori di imputati ammessi al patrocinio
a spese dello Stato, nella parte in cui, ex art. 1, comma 607,  legge
n.  147/2013,  prevede  la  riduzione   di   1/3   dell'onorario   da
riconoscersi al difensore anche qualora la liquidazione debba  essere
eseguita applicando i DD.MM. antecedenti il d.m. 10 marzo 2014,  vede
detti difensori ricevere emolumenti la cui  compressione  non  appare
giustificabile con l'adempimento di doveri  sociali  e  che  appaiono
essere assolutamente inidonei a garantire il rispetto  del  principio
di ragionevolezza che deve  mitigare  l'onere  ad  essi  imposto,  e,
infatti  a  fungere  da  serio  ristoro  rispetto  all'impegno   loro
richiesto ed alla vera e propria espropriazione  delle  loro  energie
lavorative e del loro tempo. 
La violazione dell'art. 35 Cost. 
    Di fatto,  l'attuale  normativa  crea  una  classe  di  operatori
economici che, in virtu'  del  possesso  di  determinate  qualifiche,
strumentali allo svolgimento del processo nel rispetto del diritto di
difesa, e' soggetto per legge ad un palese sfruttamento economico, ad
opera  dello  Stato  che  invece,  per  primo   e'   chiamato   dalla
Costituzione  a  realizzare  le  condizioni  di  eguaglianza  tra   i
cittadini ed ad assicurare la congrua retribuzione  del  lavoro;  per
contro, la frequenza  con  cui  l'A.G.  ha  necessita'  di  ricorrere
all'opera di difensori di ufficio o di imputati ammessi al patrocinio
a spese dello Stato, mal retribuiti, appare porsi in palese contrasto
con l'art. 35 Cost., che impone allo Stato  di  tutelare  il  lavoro,
mentre invece lo sfrutta, e rende difficoltoso  all'ausiliario  anche
dedicarsi ad altre attivita' (si pensi al caso, tutt'altro che  raro,
di perizie molto impegnative). 
    Gli emolumenti o indennita' spettanti per  l'assolvimento  di  un
ufficio pubblico, sono infatti  sottoposti  in  primo  luogo  ad  una
retribuzione gia' di  per  se'  limitata  ex  art.  82,  dpr  115/02,
rispetto a quanto sarebbe altrimenti liquidabile. A tale limitazione,
che appare di per se' razionalmente compatibile con i ricordati artt.
2 e 23 Cost., si aggiunge quindi una rilevante decurtazione  ex  art.
106 bis, dpr 115/02 per fatti  assolutamente  indipendenti  da  alcun
comportamento del difensore. 
Incompatibilita' con l'art. 36 della Costituzione. 
    Ai sensi dell'art. 36 della  Costituzione,  alla  prestazione  di
ogni attivita' lavorativa deve corrispondere la controprestazione  di
una retribuzione: 
      a) proporzionata alla qualita' e quantita' del suo lavoro; 
      b) sufficiente  ad  assicurare  a  se'  ed  alla  sua  famiglia
un'esistenza libera e dignitosa. 
    Nessuna di tali condizioni appare assolta dalla vigente normativa
intertemporale che, come ricostruita da questa A.G. nel rispetto  del
principio di legalita', si risolve nella corresponsione al  difensore
di una retribuzione  irrazionalmente  sperequata  rispetto  a  quella
prevista dalle tabelle  forense  all'epoca  vigente  e  che  si  deve
ritenere identifichino i limiti di idoneita' costituzionale, ex  art.
36 Cost., del compenso per  la  specifica  attivita'  del  difensore;
l'onorario che si andrebbe invece a corrispondere  applicando  l'art.
106 bis, dpr 115/02 al caso concreto, e per di piu' retroattivamente,
comporterebbe  inoltre  una  palese  sperequazione   di   trattamento
rispetto a quello di cui hanno  goduto,  nella  medesima  situazione,
altri legali che abbiano prestato attivita' similari e la cui istanza
di liquidazione dell'onorario sia stata presentata  e/o  evasa  prima
dell'entrata in vigore dell'art. 106, bis dpr 115/02. 
    Dovendo  questo   Tribunale   procedere,   nella   determinazione
dell'onorario, alla applicazione della norma di  cui  si  censura  la
costituzionalita', la questione appare palesemente rilevante.